Beart – letteralmente “essere arte” – non è un nome casuale. Nella musica di Riccardo Bartolini, infatti, c’è un messaggio che è, prima di tutto, una lezione di vita: “Ogni persona – spiega il 21enne di Riccione – per sentirsi davvero realizzata, secondo me, deve entrare in sintonia geometrica con la sua arte ed i suoi talenti. Io ho trovato la musica, che non è solo la mia forma naturale di espressione, ma anche il filo conduttore della mia vita”.
Il suo è un pop commerciale, dove per “commerciale” però non s’intende la banale mercificazione di un’arte, ma solo una corsia preferenziale che, in modo virale, arriva a tutti.
Seguito in maniera simbiotica dal suo produttore Marco Bongiorno (in arte Bongi) – “per me un fratello” – Beart vive nel mondo disincantato dell’arte, ma interpreta il suo lavoro con impegno, serietà e la massima dedizione: “Per noi la quarantena ha cambiato poco – confessa – visto che, già da diversi mesi, eravamo segregati in studio per lavorare alla ricerca del nostro sound, perfezionando i testi, la musica, le sfumature. Crediamo di essere arrivati a buon punto, abbiamo tanti pezzi in cantiere e dunque, dopo un lavoro molto impegnativo, è arrivato il momento della condivisione”.
Per Beart, infatti, la primavera-estate 2021 sarà una stagione catartica: il 7 maggio usciranno due suoi nuovi singoli ed un Ep con sette tracce previsto per luglio. Inoltre, è già pronto un album che uscirà p rossimamente dopo una tournée che, Covid permettendo, toccherà i luoghi più significativi della musica dal vivo: “Il contatto con il pubblico mi è mancato – ammette – perché per un cantante il live è come lo stadio per un calciatore: arriva il momento in cui senti il bisogno di certe interazioni. Per questo abbiamo messo insieme una band con cui suoneremo tutta l’estate, per il momento in provincia di Rimini e dintorni”.
Beart ha iniziato a scrivere testi rap ad appena tredici anni (“mi è sempre piaciuto cristallizzare in parole i miei pensieri”), poi ha scoperto la musica nelle sue infinite declinazioni (“e in ogni genere ritrovavo una versione di me stesso”) e, dopo un percorso di frenetiche sperimentazioni, è approdato al mondo pop, “ma solo perché – dice – questa è la variante che mi permette di arrivare a tutti”. Non pensate infatti ad una sonorità convenzionale, perché il sound di Beart è una commistione babelica di generi che si intrecciano e si fondono, come la “rappata” classica nelle strofe o i ritornelli da melodico italiano con divagazioni però sempre sorprendenti, dal rock delle chitarre elettriche ai synth più innovativi con richiami al blues, al jazz e al rockabilly. Insomma, una musica senza steccati né recinti che si propaga verso mondi inesplorati, là dove lo porta l’ispirazione. Non però un moto disordinato ed inerziale, ma una musica “con un filo logico, una trama ed un messaggio”. Una musica che, benché artisticamente ormai strutturata, non perde l’entusiasmo acerbo dei bambini: “Ho 21 anni – dice – ma me ne sento addosso dieci in meno. E sinceramente vorrei che fosse sempre così perché i bambini conservano innata la curiosità dell’esplorazione, quel desiderio incontaminato di conoscere e di sperimentare senza l’impalcatura dell’esperienza o, peggio ancora, del pregiudizio. Più l’anima dell’artista resta immacolata e più progredisce la sua creatività. Restare bambini è un privilegio che la società non ci consente, ma che io spero di conservare più a lungo possibile perché, oggi come domani, vorrei sempre pensare che il meglio deve ancora venire”.
Intanto, il “fenomeno Beart” non è passato inosservato nel mondo musicale romagnolo e stanno così per nascere le prime prestigiose collaborazioni. L’etichetta discografica Olé Artist, con sedi a Milano e Rimini, starebbe valutando una serie di possibili sinergie artistiche e, nel frattempo, ha reclutato Beart come testimonial del suo brand d’abbigliamento.
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